I simboli rimandano sempre ad uno sguardo invisibile al mondo, ad una struttura che non si vede ma che è reale, ad “un complesso sistema di affermazioni coerenti sulla realtà ultima delle cose” (M. Eliade, Il mito dell’eterno ritorno, Rusconi, 1975, p. 15)

E’ attraverso il simbolo che tutto ciò che vediamo assume un significato, perché esso viene prima di ogni filosofia, di ogni dottrina e di ogni concettualizzazione. E’ come se il simbolo richiamasse a sé archetipi immortali e radicati nella natura intrinsecamente religiosa dell’uomo.
“Non si tratta di un linguaggio utilitario e oggettivo. Il simbolo non ricalca la realtà oggettiva. Esso rivela qualche cosa di più profondo e di più fondamentale” e “ci guida sempre verso il mistero della nascita, dell’amore, della fecondità, del rinnovamento, della morte e della resurrezione, dell’iniziazione, del passaggio da un modo d’essere all’altro” (Id, Spezzare il tetto della casa, p. 225).
La simbologia cristiana non sfugge a questi principi, ma, anzi, li porta alla sua massima regalità formale e sostanziale.
La Croce di Gerusalemme, ad esempio, è una croce potenziata con quattro piccole croci ed il suo significato va svestito dalle mode della modernità e riportata alla sua dignità metafisica e spirituale.
Alcuni ritengono che in origine essa fosse diventata simbolo del regno di Gerusalemme, altri la fanno derivare dai sigilli dell’imperatore latino di Costantinopoli, ma con certezza conosciamo la sua connotazione teologica.
Infatti, nella tradizione iconografica cristiana la ripetizione di elementi decorativi su di un piano è simbolo dell’infinito e viene chiamato “seminato”. La croce di Gerusalemme è, dunque, un esempio di seminato e nel pensiero dei cristiani medievali esso rimandava direttamente al concetto di infinito e, dunque, di Dio, che andava ad intrecciarsi alla sua connotazione devozionale.
Infatti, le cinque croci presenti (le quattro piccole nei quadranti e quella grande al centro) sono simbolo delle 5 piaghe di Cristo, cagionate dai fori alle mani e ai piedi, nonché dallo squarcio della lama al costato. Un parallelismo che ritroviamo nella liturgia tradizionale, dove il sacerdote si segna cinque volte dinanzi all’ostia consacrata, pronunciando le parole hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam, panem sanctum vitae aeternae, et calicem salutis perpetuae.
Nella cappella degli Scrovegni affrescata a Padova da Giotto (1300-1305) troviamo la croce di Gerusalemme come simbolo della “Militia Christi” celeste, che trova il suo risvolto nell’isola di Cipro, che per secoli fu l’isola rifugio dei crociati, dove vi sono numerosissime tracce di croci di Gerusalemme.
Fu proprio in epoca medievale che Papa Clemente affidò ai francescani di Terra Santa la cura dei pellegrini latini. L’Ordine del Santo Sepolcro, da loro promosso, veniva onorato con il conferimento della croce di Gerusalemme per chi si era recato in pellegrinaggio a Gerusalemme ed il simbolo veniva cucito sull’abito dei pellegrini, così che, accanto al ramo di palma, la croce gerosolimitana divenne l’attributo principale del pellegrinaggio in Terra Santa.
Dopo la perdita della Terrasanta per mano dei musulmani, il titolo fittizio di Re di Gerusalemme si tramandò attraverso le più illustri famiglie regnanti d’Europa, che sempre vollero includere la croce di Gerusalemme nel proprio emblema e campeggiò nei vessilli dei Lusignano, degli Angioini, degli Aragonesi, dei Valois, degli Asburgo, dei Borbone, ed era ben visibile, ancora nel 1931, nel vessillo dei re di Spagna, prima che anche la monarchia iberica venisse spazzata via dalla Rivoluzione e dalla repubblica.
Oggi è il simbolo della Custodia francescana di Terrasanta, del Patriarcato latino di Gerusalemme e dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro.
La Croce di Gerusalemme ci accompagna nell’intimità della storia cristiana e della Tradizione, ma, ancor più, richiama l’archetipo del militum Christi, di colui che, lavato dalle cinque piaghe, combatte lo spirito del mondo ad imitazione di Colui che vinse il mondo e che, fino alla fine dei tempi, sta a capo del suo esercito di pace nello scontro con le potenze avverse, in attesa della vittoria finale.
Onoriamo i nostri simboli. Conosciamoli, amiamoli, portiamoli, vivifichiamoli con una testimonianza degna del loro significato.